Con Paolo RIPAMONTI (Lega), vicepresidente della Commissione Industria del Senato.
Puntata di mercoledì 28 aprile, ore 19.00

Le aree di crisi industriale complessa riguardano territori che hanno subito una forte recessione economica e una rilevante perdita occupazionale che, proprio in ragione della complessità delle dinamiche ivi presenti, necessitano di un intervento nazionale. Tuttavia, il caso dell’area di crisi di Gela rappresenta una sorta di anomalia nel panorama della gestione delle aree di crisi esistenti.
A seguito della crisi della raffineria RaGe del Gruppo Eni, la regione Sicilia ha chiesto e ottenuto il riconoscimento di un’area di crisi complessa, per dare respiro ad un indotto economico e occupazionale particolarmente in sofferenza. Sono state messe a disposizione risorse per 25 milioni di euro, di cui 15 milioni stanziati dal MISE (Ministero dello Sviluppo economico) e 10 milioni dalla regione Sicilia. La manifestazione d’interesse avviata dal MISE e da Invitalia portò all’individuazione di circa 430 imprese, che potevano attivarsi sul territorio con un indotto occupazione potenziale di circa 7 mila addetti. Senonché, al successivo bando hanno presentato domanda soltanto 6 aziende. Di queste, 5 domande sono risultate inammissibili: 3 non ammissibili, 1 non accoglibile, 1 non esaminabile. L’unica azienda ammessa al bando riguarda un investimento di poco più di 4 milioni di euro e un valore occupazionale di 21 unità lavorative. Ergo, più di 20 milioni di euro non sono stati utilizzati.
L’aspetto che più di altri salta agli occhi è la discrasia tra la manifestazione di interesse di oltre di 400 imprese ( che, quindi, conoscevano il bando) e le 6 aziende che hanno partecipato al bando. Oltretutto, l’azienda che si è aggiudicata il bando ha chiesto la revisione del progetto, quindi non ha ancora iniziato ad operare nell’area.
Abbiamo chiesto al senatore Paolo RIPAMONTI, vicepresidente della Commissione Industria del Senato, di spiegarci cosa è andato storto in questa faccenda, che ricordiamo costituisce un “unicum” nella gestione delle aree di crisi industriali complesse. E necessario, infatti, comprendere quelle specificità territoriali che, se non adeguatamente intercettate, possono risultare un ostacolo al rilancio economico. Il rischio è di ritrovarsi nella stessa condizione anche al prossimo bando. Non da ultimo, questa situazione desta qualche preoccupazione anche in vista della gestione a livello “locale” delle risorse che saranno messe a disposizione con il PNRR. Un motivo in più per attenzionare la questione e trovare per tempo i giusti correttivi.
Buon ascolto!