Con l’on. Antonio Maria RINALDI, europarlamentare Gruppo Lega-Identità e Democrazia
Puntata di giovedì 27 maggio, ore 11.00

Per uscire dalla crisi causata dalla pandemia l’Europa, attraverso lo strumento del Next Generation EU, ha messo in campo un piano di ripresa da 750 miliardi di euro. Detta così, sembrerebbe di essere di fronte una svolta epocale, alla stregua di quello che fu il Piano Marshall alla fine della Seconda Mondiale. La realtà, però, come spesso accade, è ben diversa dai proclami. In questo podcast, l’on. Antonio Maria Rinaldi, ci ha aiutato a fare un po’ di chiarezza sulla reale portata di questo Piano europeo e sulle conseguenze che avrà sullo sviluppo dei diversi Stati membri.
Partiamo da quella che viene considerata la “portata di fuoco” del NGEU: 750 miliardi di euro, di cui 390 miliardi sotto forma di sovvenzioni e 360 miliardi in prestiti. C’è chi ha interpretato il termine “sovvenzioni” come “erogazioni di soldi a costo zero”. Cominciamo col dire che, in realtà, il “benefattore” Europa non esiste. L’Unione europea si tiene in piedi attraverso i contributi dei singoli Stati, tant’è che la Commissione per reperire queste risorse del NGEU deve andarle a trovare sui mercati. Difatti, in questi mesi gli Stati membri sono stati impegnati nella ratifica nazionale della Decisione sulle risorse proprie (DRP), che per l’appunto autorizza la Commissione a fare questo passaggio sui mercati dei capitali. Al momento, tra l’altro, Paesi Bassi, Polonia, Austria, Ungheria e Romania, non hanno ancora ottemperato alla ratificata, mentre ricordiamo che in Germania c’è stato un “incidente di percorso” durante l’iter di ratifica con l’intervento della Corte Costituzionale tedesca. Inoltre, sempre per finanziare la strategia europea di ripresa, verranno introdotti nuovi strumenti fiscali: ossia nuove tasse proprie della UE che pagheranno tutti i cittadini europei.
Altra questione. Secondo alcune ricostruzioni degli eventi accaduti nel 2020, all’Italia sarebbero state assegnate ingenti risorse per presunti “meriti” di strategia politica. In realtà, la ripartizione delle risorse è stata effettuata secondo parametri standard. Ciò, tra l’altro, è scritto nero su bianco proprio nel PNRR, laddove recita: “L’iniziativa NGEU canalizza notevoli risorse verso Paesi quali l’Italia che hanno recentemente sofferto di bassa crescita economica ed elevata disoccupazione. Il meccanismo di allocazione tra Stati Membri riflette infatti non solo variabili strutturali come la popolazione, ma anche variabili contingenti come la perdita di prodotto interno lordo legato alla pandemia”. Detto in altra maniera: abbiamo ottenuto la disponibilità di 205 miliardi poiché la nostra economia è tra quelle europee in maggiore sofferenza.
Ma veniamo ai singoli Piani nazionali. Dal confronto tra il PNRR italiano e quelli presentati dagli altri Paesi, emerge una peculiarità tutta nostrana. Al di là di quanto messo a disposizione dalla UE, tutti gli Stati che hanno già presentato il PNRR hanno deciso di non utilizzare tutte le risorse assegnategli, altri hanno addirittura ritenuto di fare ricorso soltanto alle sovvenzioni ( vedi Spagna, Francia, Germania). L’Italia non solo ha predisposto un Piano utilizzando tutta la linea di credito europea ( 205 miliardi), ma a ciò ha aggiunto un Fondo complementare nazionale di altri 30 miliardi. Alla domanda sulle ragioni che hanno presumibilmente indotto gli altri Stati ad essere più cauti nell’utilizzo di queste risorse, l’on. Rinaldi ci ha fornito una risposta chiara e inequivocabile che possiamo riassumere in una parola: condizionalità. Ricordiamo, infatti, che l’Europa ha vincolato l’utilizzo delle risorse del NGEU ad alcuni settori ritenuti strategici. Il regolamento del NGEU prevede che un minimo del 37% di spesa deve essere utilizzato per investimenti relativi alla transizione ecologica e il 20% per quella digitale. Ciò a prescindere dalle esigenze e peculiarità specifiche dei sistemi di sviluppo produttivo dei singoli Paesi. A ciò va aggiunto che queste transizioni devono essere attuate inderogabilmente entro il 2026, con il rischio di andare stressare i sistemi produttivi invece di accompagnarli ad una trasformazione graduale, secondo quanto già deciso dall’European Green Deal.
Queste considerazioni ci offrono uno spunto di riflessione per interrogarci tanto sull’opportunità quanto sulla fattibilità di questo Piano e, soprattutto, sul futuro che attende il nostro Paese. Non dimentichiamo, che la situazione economica italiana era critica anche prima della pandemia. Tra il 1999 e il 2019, il Pil italiano è cresciuto in totale del 7,9%. Nello stesso periodo in Germania, Francia e Spagna, l’aumento è stato rispettivamente del 30,2%, del 32,4% e del 43,6%. A questo punto non ci resta che aspettare, per capire se l’Italia è stata più lungimirante degli altri Stati oppure se, diversamente dagli altri Paese membri dell’Unione, abbiamo peccato di troppa arroganza. In questo momento di attesa, l’intervista al prof. Rinaldi, è sicuramente un valido strumento di riflessione per prendere consapevolezza del momento storico che stiamo vivendo.
Buon ascolto…